TESTI CRITICI

Tra gli altri, hanno scritto di Lamberto Melina: Maurizio Bernardelli Curuz, Paola Artoni, Guido Folco, Elisa Govi, Alberto Zaina, Carla Primiceri, Cristina Trivellin, L.M. Pieretti, Mauro Corradini, Giuseppe Palomba, e molti altri.

Qui sotto alcune critiche tra le più significative.

Celati silenzi

Il frastuono dei giorni, il caos dei suoni, la sovrabbondanza di immagini, molte delle quali generate appositamente per essere scioccanti. Forse mai come in questi tempi il silenzio è d’oro, prezioso come un metallo raro, nobile e incorruttibile, e tanto difficile da trovare. Accade allora che quando si arrivi anche solamente a percepirne una traccia, tale dimensione diventi una zona franca da rispettare e preservare come un tesoro nascosto. Il tempo si ferma e la mente può finalmente assaporare e non trangugiare… Questo flusso di pensieri ci sorprende dinnanzi alle figure di Lamberto Melina, nelle quali ci specchiamo e ci perdiamo, con la sensazione di esserci accostati all’alter ego dell’artista ma anche di noi spettatori. Il lavoro è un mistero in divenire per lo stesso autore, viene lasciato coperto sino all’ultimo, sino a quando avviene il vero e proprio svelamento dell’opera compiuta. La missione dell’artista – ci confida Melina in occasione di un nostro incontro – è quella di essere un mediatore tra mondi paralleli, diversi, che sfuggono alle persone e ai sensi, egli è chiamato a tradurre in simboli, metafore e suoni questi “altri” mondi. Se la “Fontana” di Duchamp ha, a parere di Melina, “distrutto i simboli e la capacità simbolica dell’arte”, la risposta dell’artista è una pittura che sfida continuamente la perfezione, in una contesa che è dettata dall’esigenza di produrre una Bellezza che permetta di trasmettere nel migliore dei modi il Simbolo. E il viatico per

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Fulmineo principio di luce

Cos’è quel fulmineo principio di luce: un volto, occhi che mi riconoscono, mi fissano, nel preciso istante del loro emergere dall’ancestrale vuoto che li avvolge; sguardi debordanti di acquosa malinconia sembrano cercarmi, vogliono qualcosa da me, ma cosa? Mi avvicino, è un oggetto che invita a raggiungere e raggiunge al contempo: l’incontro è a metà del percorso.Creature che non si piegano agli aleatori artifici della storia contingente, i dettagli connotativi sono obliati nell’impenetrabile ombra di sospensione: esseri isolati, di primigenia essenzialità. Come vasi curvilinei-acini d’uva- fiori, vividi di materiche luci, non raccontano nulla, eppure i segni che li compongono provengono dal reale. Un evento divinatorio: l’istante finito e mortale del fotografato è restituito all’eterno fluire del tempo, il pennello penetra nella tela vitalizzandola. L’atto creativo rielabora dopo avere de-costruito l’immagine di realtà, ammorbidisce, sfoca, incide, ma i segni sono raramente percettibili: il fare è sublimato nella perfezione assoluta, la matericità della tecnica è acquisita, scontata, punto zero, il senso è altrove. L’oscurità è assenza, vertigine di denso vuoto, paura, ma pure silenzio, sospensione, rifugio, occasione di verità. Ombra come oceano di inconsce nerezze collettive e individuali, quindi custode della parte luminosa di noi. Forse il vero senso di questi volti è nascosto nell’ombra: prerogativa di chi ha il privilegio dell’incontro, il coraggio di annegare nell’oscurità, di penetrare il silenzio, per riaffiorare irrorato di luce.Quell’essenza di viso è un interlocutore di sensi; gli occhi, come viatici, suggeriscono un percorso possibile, ma

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Infiniti significati

Se guardi nel buio a lungo, c’è sempre qualcosa. (William Butler Yeats 1865 – 1939, poeta e drammaturgo irlandese, premio Nobel per la letteratura.) I soggetti di Melina emergono puri, nuovi, liberi da qualsiasi artificio, essenziali, spogliati da qualsiasi tipo di contesto perché essi non hanno intenzione di raccontare nulla, né di rivelare nulla di sé. Essi suggeriscono un percorso, invitano l’osservatore a penetrare, dubitando forse incuriositi o spaventati, quell’oscurità, quel vuoto, quel silenzio assordante che li avvolge e si espande anche al di fuori dello spazio dipinto, inondando ciò che ne è al di fuori, come un fumo denso, avvolgente, estremamente attraente. Questo soggetto, che si può definire un tramite, catalizzatore non di emozioni o sensazioni indotte che prendono forma o essenza dalla sua origine, bensì ne creano una totalmente nuova e autentica, atta a plasmare una introspezione del io più recondito e volta a scavare talmente in profondità da riempire l’opera stessa di infiniti significati che provengono dall’osservatore. La forza di questo concetto è che chiunque osservi avverte sensazioni differenti, è sconvolto o compiaciuto da emulsioni mentali ed emozionali assolutamente uniche …è quasi come se l’osservatore faccia dell’opera la sua storia. La liberazione del senso è lo scopo ultimo di questa tecnica invisibile, di questa perfezione così vera da far quasi impressione, sicuramente debitrice di un certo Caravaggio, liberazione come redenzione, redenzione come salvezza, salvezza come rinascita: chi osserva annega tutto se stesso, con la sua storia, la

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Nel Paese dei volti eloquenti

E’ dalla condizione transeunte ma immortale della giovinezza che l’umanità assume la forza dirompente per perpetuare se stessa, per costruire civiltà, per disegnare utopie. Solo queste coordinate basterebbero a ben catalogare – catalogare per meglio comprendere la valenza del messaggio – lo straordinario lavoro pittorico compiuto da Lamberto Melina – straordinario, è inutile aggiungerlo, sia sotto il profilo dell’esito formale che per la densa e aperta natura sostanziale del messaggio – in una stretta connessione tra forma e significato, liaison glorieuse alla quale tanta parte dell’arte contemporanea ci ha purtroppo abituato a rinunciare, a favore di forme gradevoli di design prive di parola, di mute sgradevolezze programmatiche, di provocazioni triviali, di abbandono della pittura a favore delle adolescenziale boutade del concettuale, forme d’arte che suggono ancora la linfa aspra e decotta delle avanguardie d’inizio Novecento. Melina recupera forme e linguaggi, trasformandoli e ponendoli in perfetto assetto sulla linea del presente. Combatte con il colore contro il nihil assoluto del quale il disfacimento della forma è indice e spia di una disgregazione dei valori che non sono formalmente riconoscibili, ma che stazionano in una nebulosa soluzione di acqua, di plancton e di polvere provocata dalla macchina filosofico-estetica del pensiero negativo che ha macinato tutto il macinabile. L’artista punta cioè, attraverso quadri di un realismo metafisico che attrae in un gorgo ipnotico, a superare, lanciando le sottili ma resistenti scale di una pittura qualitativamente alta, la palude assolutamente impraticabile nella modernità, che

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